La longevità dei restauri in resina composita dipende dalla manipolazione del materiale e dal rischio carie individuale.
“Quanto durerà la ricostruzione che mi ha fatto?” oppure “ogni quanto tempo dovrà essere sostituita?”
Queste sono le due domande più frequenti che i pazienti chiedono al proprio odontoiatra al termine della seduta condotta per un restauro adesivo in resina composita.
La risposta non è univoca, così come non esiste un tempo determinato di longevità di un restauro in composito inserito nell’ambiente biologico della cavità orale e sottoposto ai carichi masticatori, elementi diversi da un paziente all’altro.
In questa breve disamina sull’argomento è condotta una distinzione tra fattori legati al materiale, alle procedure – e quindi all’operatore – e infine legati alle condizioni individuali del paziente.
Fattori legati al materiale
Sono i fattori meno rilevanti nel disaminare la longevità del restauro in resina composita, vale a dire che la scelta di materiali di buona qualità riduce la variabilità legata a tale aspetto.
La scelta deve ricadere su prodotti di aziende conosciute sul mercato, che hanno una ricerca scientifica e sperimentazione clinica consolidata e che, di conseguenza, sono in grado di fornire insieme al prodotto una valida documentazione delle proprietà del prodotto sia esso sistema adesivo smalto – dentinale “DBA” sia esso resina composita da restauro.
L’odontoiatra deve quindi scegliere sempre prodotti accompagnati da una valida documentazione riguardante le caratteristiche / proprietà testate in laboratorio e quelle di longevità clinica ove.
Fattori legati alla manipolazione dei materiali
Sono quei fattori che in genere sono classificati come “skill’s operator” ovvero dipendenti dalle abilità dell’operatore dove, tuttavia, per abilità non s’intende la capacità manuale dell’operatore quanto la sua attenzione nel manipolare i materiali seguendo le istruzioni del fabbricante (si parla di IFU; Istruction Fabbricant Use).
Solo per fare alcuni esempi:
Un sistema adesivo smalto-dentinale “DBA”, con validi dati di laboratorio e comprovate prove di efficacia clinica a medio-lungo termine, può essere causa di un precoce fallimento di un restauro adesivo se manipolato nella maniera non corretta e indicata dal fabbricante.
Lo stesso discorso vale per le resine composite se sono, ad esempio, lavorate in spessori eccessivi quando invece sono formulate per una tecnica incrementale (in genere intorno ai 2.0 mm ) oppure – e soprattutto – se non correttamente polimerizzate.
Il deficit di polimerizzazione (basso grado di conversione dei monomeri resinosi) è tra i fattori meno considerati nella manipolazione delle resine composite.
La polimerizzazione delle resine composite richiede invece un rigoroso rispetto dei tempi indicati dal fabbricante e delle lampade foto-polimerizzatrici efficienti in termini di energia luminosa emessa (si parla di densità energetica di polimerizzazione il prodotto tra l’intensità luminosa emessa e il tempo di esposizione).
Il clinico dunque non solo deve scegliere prodotti di qualità ma attenersi in maniera rigorosa alle indicazioni d’uso del fabbricante indicate nei foglietti allegati al prodotto e non manipolare il materiale in maniera “ empirica “ si può dire.
Keep in Mind
Il consiglio è, soprattutto per quegli operatori non dedicati all’odontoiatria restaurativa, di leggere attentamente il “ bugiardino” prima dell’uso e di attenersi in maniera rigorosa alle istruzioni del fabbricante.
Fattori legati al paziente
Rischio carie e parafunzione masticatoria
In letteratura è possibile ritrovare un eccellente disamina sistematica ( Opdam 2014 ) che mette in luce come la sopravvivenza dei restauri in resina composita nei settori posteriori subisce una drastica riduzione nei pazienti ad aumentato rischio carie.
L’articolo evidenzia come, nel medio periodo di osservazione, un alto rischio di fallimento dei restauri posteriori è collegato a un alto rischio carie del paziente.
All’osservazione a 6 anni, la principale causa di fallimento è lo sviluppo di lesione cariosa secondaria intorno al restauro stesso. (o primaria – che appare più corretta come definizione – ma non è ivi la sede di disquisizione).
I batteri cariogeni – S. mutans in particolare – è in grado di produrre degli enzimi responsabili del “breakdown” dei monomeri resinosi costituenti sia i sistemi adesivi “DBAs” sia le resine composite.
Anche la parafunzione masticatoria è un parametro da considerare poiché il restauro in composito sollecitato da carichi che eccedono dalla fisiologica funzione masticatoria può andare incontro a fenomeni di consumo eccessivo “ wear”, a distacchi parziali o perdita d’integrità marginale.
Keep in Mind
L’intervento restaurativo deve essere – sempre – accompagnato da un’attenta e meticolosa valutazione del rischio individuale di carie del paziente e, nel caso questo sia presente, mettere in atto tutte le strategie per abbassare tale rischio mediante la riduzione dei fattori di rischio ed enfatizzazione dei fattori protettivi.
Bibliografia
Opdam NJM., van de Sande FH., Bronkhorst E., Cenci MS., Bottenberg P., Pallesen U., Gaengler P., Lindberg A., Huysmans MCDNJM., Van Dijken JW.
“ Longevity of posterior composite restorations: a systematic review and meta-analysis”
J.Dent. Res. 2014;93: 943-949
Fig.1-2: lesioni cariose presenti in pazienti ad elevato rischio di malattia carie.
Il trattamento conservativo delle lesioni cariose richiede dapprima una riduzione del rischio individuale per ottenere una buona longevità dei successivi restauri.

